Il Conte Paolo Grazia (Giuffrè)
è un uomo di grande conformismo ed impetuoso abbastanza da essere
convinto assertore del delitto d'onore. Non comprende infatti il sano
cinismo del suo amico Cirillo, pluricornificato dalla moglie, che vive e
lascia vivere.
Quando scopre che la moglie Savina lo tradisce non
riesce tuttavia ad ucciderla, e le impone l'esilio in Svizzera, ma per
salvare le apparenze e conservare in società la maschera di marito
implacabile, si costituisce alla polizia come se avesse commesso il reato.
Al processo si fa assistere dal suo migliore amico,
l'avvocato Luciano Spina (Gigi), ignorando che il misterioso amante di
Savina è proprio lui, e l'avvocato attinge al più bieco repertorio dei
difensori del delitto d'onore, dipingendo la donna, che crede, come tutti,
morta, come una meretrice posseduta da torbidi istinti. Il Conte viene
assolto e torna a casa, accolto come un trionfatore, iniziando a provare
un deciso disgusto verso le convenzioni borghesi.
Qualche tempo dopo, dal lago su cui sorge la villa
del Conte, riemerge il cadavere di una donna, che per tutti è
immediatamente identificabile nell'assassinata Contessa: in un trionfo di
ipocrisia si prepara il solenne funerale, ma Savina sceglie proprio quel
giorno per tornare a chiedere perdono al marito, che glielo concede
essendone ancora innamorato, e ne approfitta anche per chiudere i conti
con Luciano.
Nonostante il segreto che copre la sua ricomparsa, la
donna viene scoperta, e un amico magistrato del Conte, irritatissimo per
la messinscena imbastita, prospetta a Paolo l'arresto e una lunga
detenzione per simulazione di reato.
A questo punto Paolo, definitivamente disgustato
dagli equilibrismi dell'etica borghese, scappa con Savina per ricostruirsi
altrove una vita più sincera.